Giovedì 10 luglio il Parlamento europeo sarà chiamato a esprimersi su una mozione di sfiducia nei confronti della presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen. La mozione, depositata la scorsa settimana dall’eurodeputato bulgaro Gheorghe Piperea, del gruppo dei Conservatori e Riformisti Europei (ECR), è formalmente all’ordine del giorno della plenaria di Strasburgo dopo aver superato la soglia minima di 72 firme necessarie per essere discussa in Aula.
Tuttavia, a pochi giorni dal voto, nessun gruppo parlamentare ha ufficialmente sottoscritto la mozione, rendendo estremamente improbabile che venga approvata. Il regolamento dell’Eurocamera, infatti, prevede una soglia altissima: serve il voto favorevole di due terzi dei deputati per far cadere la Commissione, un obiettivo lontano dalla portata dell’attuale iniziativa, al momento sostenuta soltanto da un pugno di esponenti euroscettici e indipendenti.
Le accuse alla base della mozione
Tre sono i punti critici su cui si fonda la richiesta di sfiducia. Il primo, e più noto, è il cosiddetto Pfizergate: durante le trattative per l’acquisto dei vaccini anti-Covid, Ursula von der Leyen avrebbe scambiato messaggi personali con l’amministratore delegato di Pfizer, Albert Bourla. Quei messaggi non sono mai stati resi pubblici, nonostante le ripetute richieste da parte di eurodeputati, media e difensori della trasparenza istituzionale. La mancanza di chiarezza su questo scambio ha sollevato interrogativi su eventuali trattative informali, fuori dai canali ufficiali, in un momento di massima emergenza sanitaria e finanziaria.
La seconda accusa riguarda la gestione dei fondi post-pandemia, in particolare l’utilizzo del Next Generation EU. Piperea denuncia presunti usi impropri delle risorse, un’accusa che però non è mai stata supportata da indagini o riscontri ufficiali.
La terza accusa, altrettanto controversa, riguarda il presunto finanziamento da parte della Commissione a organizzazioni non governative (ONG) per fare lobbying presso gli eurodeputati al fine di sostenere le politiche ambientali dell’esecutivo europeo. Anche questa tesi è stata fermamente smentita dai portavoce della Commissione.
Una mozione più simbolica che concreta
La presentazione della mozione, pur avendo scarse probabilità di successo, assume una valenza politica significativa. Avviene in un momento in cui l’Europa è nel pieno di un complesso processo di rinnovo istituzionale: le elezioni europee di giugno hanno ridisegnato gli equilibri nell’emiciclo, con un rafforzamento dei partiti conservatori e sovranisti e una conseguente maggiore pressione sulla riconferma della stessa von der Leyen per un secondo mandato.
Il voto del 10 luglio, dunque, sarà probabilmente più un termometro politico che un vero banco di prova istituzionale. Salvo colpi di scena, Ursula von der Leyen dovrebbe superare la mozione, ma il segnale lanciato da Piperea e dai firmatari resta forte: una parte non irrilevante dell’Europarlamento chiede maggiore trasparenza e responsabilità nella gestione dei dossier più delicati dell’Unione.
Se anche la mozione sarà respinta, come appare scontato, la discussione che ne scaturirà potrebbe avere effetti non trascurabili sul futuro politico della presidente in carica, in un clima europeo tutt’altro che sereno.

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