L’obesità dei più poveri non è colpa. Viviamo in un Paese dove si fa presto a giudicare. Si guarda un corpo in sovrappeso e si pensa subito all’eccesso, alla pigrizia, alla mancanza di volontà. Ma raramente si va oltre l’apparenza. Raramente ci si chiede quale storia ci sia dietro quei chili di troppo.
La verità, scomoda ma evidente, è che oggi essere poveri significa anche mangiare male. E mangiare male porta, nel tempo, a ingrassare. Non per scelta, ma per necessità.
Il paradosso della fame che fa ingrassare
In Italia, milioni di persone vivono con pensioni minime, stipendi precari o redditi sotto la soglia della povertà. In questa fascia di popolazione, fare la spesa è una lotta tra sopravvivenza e dignità. Il carrello si riempie di pasta, pane, biscotti, patate, salumi di scarsa qualità, tutto ciò che “sazia” con poco. Frutta fresca, pesce, verdura, carne di buona qualità? Troppo costosi, troppo deperibili. Troppo fuori portata.
E allora ci si adatta. Si mangia quello che si può. Non quello che si dovrebbe.
Una questione di classe, non di volontà
Non è un caso se i dati lo confermano: l’obesità colpisce più duramente chi ha meno risorse economiche. Non perché queste persone abbiano meno autocontrollo, ma perché il cibo sano è un lusso che in molti non possono permettersi.
Una confezione di merendine costa meno di un sacchetto di mele. Un litro di bibita zuccherata meno di una bottiglia d’acqua minerale.
A tutto questo si aggiunge la mancanza di tempo, di educazione alimentare, di spazi verdi per fare movimento, spesso anche di accesso a cure mediche adeguate.
La beffa della colpa
E come se non bastasse, queste persone vengono anche colpevolizzate. Umiliate, derise, medicalizzate.
Quando invece lo Stato, la società, i governi dovrebbero interrogarsi sulle radici sistemiche dell’obesità da povertà e agire: con politiche pubbliche di sostegno alimentare, sussidi per l’acquisto di prodotti freschi, mense sociali di qualità, educazione nutrizionale gratuita.
Chi è povero non deve essere condannato a ingrassare.
In un Paese che si definisce civile, nutrirsi bene dovrebbe essere un diritto, non un privilegio.
E allora torniamo a parlare di pensioni minime, di stipendi da fame, di carrelli della spesa che diventano trappole.
Perché il peso di chi fatica ad arrivare a fine mese non è solo sulla bilancia, ma sul cuore, sulla salute, sulla coscienza collettiva.

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