L’Italia è un Paese straordinario, con una cultura millenaria che tutto il mondo ci invidia. Peccato che, quando si tratta di gestire i fondi pubblici per la cultura, diventa anche un Paese grottesco. L’ultima farsa in ordine di tempo riguarda il caso Kaufmann, film mai decollato ma lautamente finanziato, tanto da provocare le dimissioni del direttore generale del Ministero della Cultura. Dimissioni che arrivano tardi, e che da sole non bastano.

Perché qui non stiamo parlando di un errore tecnico. Parliamo di un sistema marcio che distribuisce soldi pubblici – cioè nostri – a pioggia, spesso senza alcuna reale valutazione del merito o dell’utilità collettiva.

Un film mai fatto, ma ben pagato. E noi?

È legittimo chiedersi: quanti altri “casi Kaufmann” si nascondono tra le pieghe dei bilanci del Ministero della Cultura? Quanti film finanziati senza senso, quanti eventi culturali vuoti, autoreferenziali, pensati solo per drenare fondi, tenere in vita amici, parenti e circuiti opachi? A spese, ovviamente, del contribuente.

E attenzione, perché quando si parla di “contribuente” in Italia si intende sempre lo stesso bersaglio: i lavoratori dipendenti e i pensionati, che le tasse non possono evitarle neppure volendo, perché gliele prelevano direttamente alla fonte. Gli altri – imprese, autonomi, partite IVA – spesso hanno commercialisti talmente bravi da far sembrare un imprenditore di successo un indigente a fine anno fiscale. E intanto a pagare per i film-fantasma sono sempre gli stessi.

Le dimissioni non bastano: serve un’inchiesta giudiziaria.

Chi ha autorizzato il finanziamento? Chi ha controllato? Dove sono le relazioni, le verifiche, i rendiconti? Non si può pensare che le dimissioni di un dirigente – benché doverose – possano archiviare la questione. Serve una vera inchiesta, che metta sotto la lente non solo il cinema, ma tutto il settore culturale finanziato dallo Stato.

Chi ha preso i soldi? Per fare cosa? E con quali risultati?

Non si può continuare a finanziare mostre che nessuno visita, festival inutili, spettacoli autoreferenziali che non parlano a nessuno. È giusto aiutare la cultura, ma è criminale buttare milioni mentre c’è chi non riesce a comprare i libri scolastici ai figli o pagare il ticket per una visita medica.

Il vero scandalo è che i soldi finiscono sempre ai soliti

C’è un’ingiustizia strutturale. Gli ammortizzatori sociali, i bonus, gli sgravi, le detrazioni: spesso finiscono a chi non ne ha bisogno. Un imprenditore che ha saputo dichiarare 8.000 euro l’anno riceve più aiuti di un operaio che ne guadagna 20.000 puliti, regolari, tassati. Questo sistema è l’insulto quotidiano a chi fa il proprio dovere.

Basta “cultura” di facciata: torni il rispetto per i soldi pubblici

Lo Stato non è un bancomat per i furbi. I soldi pubblici non sono “a disposizione” di chi sa come presentare un progetto infiocchettato. Sono soldi sacri, versati da milioni di italiani che ogni giorno stringono la cinghia e si vedono rubare dignità, speranza e futuro.

Se vogliamo davvero parlare di cultura, cominciamo dalla cultura della legalità, del merito, della giustizia fiscale.

Non basta far dimettere un direttore. Bisogna rimettere in piedi uno Stato che rispetti i suoi cittadini onesti. E cominci a chiedere conto – davvero – a chi quei soldi li ha sprecati o, peggio, usati per arricchire pochi a danno di tutti.

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Di Giuseppe Cianci

E' necessario difendere la libertà di pensiero e di espressione oggi più che mai minacciata dal pensiero unico imposto da un sistema mediatico prevalente