Sta facendo il giro del web un video diventato virale su TikTok che ritrae un uomo catanese, furioso dopo aver trovato la propria auto bloccata con le ganasce per sosta vietata in via Santa Sofia. Il soggetto, riprendendosi in un acceso sfogo, si scaglia con parole violente contro il sindaco di Catania, Enrico Trantino, lanciando pesanti insulti e gravi minacce: “La prima volta che ti vedo ti apro la testa con colpi di casco, non ho paura né dei carabinieri, né della polizia…”.

Il filmato ha immediatamente sollevato un’ondata di polemiche, alimentando un acceso dibattito non solo sulla pericolosità di certi linguaggi online, ma anche sulla legittimità di alcune prassi amministrative, come l’utilizzo delle ganasce per i veicoli in sosta irregolare.

Se da un lato l’uso del bloccaruote viene spesso giustificato come deterrente al parcheggio selvaggio, dall’altro esistono motivazioni giuridiche non trascurabili che ne mettono in discussione la costituzionalità. Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, in particolare la sentenza n. 264 del 1996 della Corte costituzionale, le limitazioni alla libertà di circolazione devono comunque rispettare altri diritti fondamentali, tra cui il diritto alla salute, il diritto di iniziativa economica e la libertà personale.

Il blocco fisico di un mezzo di trasporto può infatti compromettere tali diritti. Si pensi, ad esempio, a chi utilizza l’auto per motivi di lavoro, per trasportare anziani o disabili, o per necessità mediche urgenti: la ganascia diventa un ostacolo materiale alla possibilità di adempiere a doveri e necessità tutelate dalla Costituzione. Si configura, dunque, una menomazione della libertà di iniziativa economica, rendendo la misura potenzialmente illegittima.

Alla luce di queste considerazioni, si fa sempre più strada l’ipotesi che la sanzione pecuniaria – eventualmente inasprita – possa costituire un’alternativa più rispettosa dei principi costituzionali, senza ricorrere a strumenti coercitivi che ledono diritti fondamentali.

Il caso catanese, oltre a segnalare la degenerazione verbale in rete (mai giustificabile) e la necessità di un controllo sui linguaggi d’odio, solleva anche questioni giuridiche profonde che chiamano in causa il rapporto tra legalità amministrativa e diritti inviolabili. Forse, è giunto il momento di un serio ripensamento normativo.

Di Giuseppe Cianci

E' necessario difendere la libertà di pensiero e di espressione oggi più che mai minacciata dal pensiero unico imposto da un sistema mediatico prevalente