L’8 maggio 2025 resterà nella storia della Chiesa come il giorno in cui è stato eletto il primo Papa statunitense. Il cardinale Robert Francis Prevost, agostiniano, con una lunga esperienza missionaria in Perù e un solido percorso nella Curia romana, è salito al soglio pontificio con il nome di Leone XIV.
Una figura che appare, almeno in superficie, come un ponte tra mondi diversi: Nord e Sud, tradizione e riforma, spiritualità e istituzione. Un Papa che unisce l’efficienza organizzativa americana alla sensibilità pastorale maturata in America Latina. Alle 18:07 la fumata bianca ha annunciato la sua elezione, e alle 19:13 è apparso alla loggia della Basilica di San Pietro. Parole semplici, voce pacata, nessuna teatralità. Un inizio misurato.
Ma dietro la sobrietà, resta una domanda: questa elezione è davvero segno di cambiamento?
Riflessione personale
A colpirmi non è tanto il fatto che Leone XIV sia americano, quanto il contesto in cui avviene questa elezione. Siamo in un tempo in cui la Chiesa sembra oscillare tra la necessità di rinnovarsi e la paura di farlo davvero. Ci si affida a nomi nuovi, ma spesso a logiche vecchie.
Mi interrogo con spirito critico, forse anche con un filo di amarezza. Perché ho visto, come tanti, parole belle consumarsi in atti deboli. Il linguaggio ecclesiale si è fatto inclusivo, persino moderno a tratti, ma resta spesso lontano dalla vita concreta delle persone. Le ferite restano: quelle dei silenzi su temi cruciali, delle chiusure dietro le quinte, del potere che non si lascia mai davvero interrogare.
Leone XIV ha scelto un nome che evoca forza, autorità, visione. Ma oggi, la vera forza per me sta nell’infrangere le abitudini che rendono la Chiesa autoreferenziale. Mi auguro che questo pontificato non sia solo un altro “cambio di volto”, ma una reale svolta di coscienza.
Scrivo queste righe da uno spazio di silenzio che cerco sempre più spesso: come quando cammino scalzo sulla riva del mare, a contatto con ciò che non mente. È da lì che nasce questa riflessione, non da un pregiudizio, ma da un’urgenza: quella di vedere la Chiesa ritrovare la sua voce vera. Quella che non cerca consensi, ma verità. Quella che non si accontenta di sembrare nuova, ma osa diventarlo davvero.