Ci ritroviamo a rincorrere ogni centesimo per sopravvivere. Con uno stipendio di 1500 euro al mese, fare quadrare i conti diventa una maratona senza fine. E nel bel mezzo di questa fatica quotidiana, l’idea di concedersi qualche giorno di meritata pausa si trasforma in un lusso irraggiungibile.
È assurdo dover fare i conti con stipendi precari, costi della vita sempre in aumento e un sistema fiscale che pare girare al contrario rispetto alle necessità dei cittadini. L’ennesimo affronto arriva, ad esempio, dal Governo che annuncia la riduzione dell’Irpef per chi guadagna dai 28mila fino ai 60mila euro all’anno, abbassando di ben due punti l’aliquota per queste fasce di reddito. Una mossa che dovrebbe alleggerire la pressione fiscale, eppure, qui il palcoscenico è denso di paradossi.
Quando si abbassava l’Irpef per i redditi compresi tra 15mila e 28mila euro, ovviamente si pensava di aiutare chi ha davvero bisogno. Ma la vera sorpresa – o meglio, l’insulto velato – è stata la scoperta che i benefici maggiori di quella misura sono andati ad alimentare gli scaglioni superiori ai 28mila euro. Quindi, chi ci ha guadagnato di più? Non sono stati i giovani lavoratori, i precari o chi fatica ogni giorno per mantenere una vita dignitosa. No, sono stati quelli che già godevano di una situazione economicamente più solida, mentre il “popolo” povero resta agli antipodi della realtà promissoria.
Questo Governo sembra aver dimenticato le priorità: mentre una fetta della popolazione lavora duro per percorrere una vita fatta di rinunce e sacrifici – rinunciando perfino a quella vacanza tanto meritatamente sognata – le politiche fiscali vengono impostate per favorire chi è già in una posizione di vantaggio. Abbassare l’Irpef a chi guadagna dai 28mila fino ai 60mila euro è, in realtà, un modo sottile per rallentare l’unica possibile mobilità sociale, ingenerando un divario sempre più ampio tra chi lavora e chi si gode i frutti del sistema.
E noi? Noi rimaniamo a fare i conti a fine mese, a lottare per non cadere nella spirale del debito, mentre ci domandiamo: “Chi lo spiega a questo Governo?”. C’è chi sostiene che si tratti di una misura di stimolo all’economia, ma, a guardare gli effetti sulla vita reale, la verità è ben diversa. Si parla di incentivare il consumo e di dare fiducia al mercato, mentre, in fondo, il vero peso grida più forte: il costo della vita che erode le poche possibilità di chi, ogni giorno, si alza con la speranza in un futuro migliore.
La dura verità è questa: non basta abbassare alcune aliquote fiscali se non si interviene sui veri nodi del problema. Ridurre le tasse per chi già guadagna di più, mentre la maggior parte della popolazione si vede costretta a stritolare i propri sogni per pagare l’affitto e le bollette, è un controsenso che riduce il nostro futuro a una mera sopravvivenza. Le politiche economiche dovrebbero essere concepite per ridurre le disuguaglianze, non per alimentarle, e per dare una reale possibilità a chi, come te, lavora duro, ma vede ogni giorno che la vita è una battaglia senza tregua.
In conclusione, la questione non è solo fiscale o economica, ma profondamente sociale. È il grido di chi chiede giustizia e di chi si rifiuta di accettare un sistema che premia il potere economico a scapito della dignità. Basta mezze misure: è tempo che il Governo metta davvero al centro i bisogni dei lavoratori e delle famiglie, affinché la realtà non rimanga un monologo di rinunce e frustrazioni.