Si faceva chiamare Rexal Ford e si presentava come regista internazionale: il Ministero gli ha versato oltre 800mila euro. Ma a distanza di mesi, nessuna indagine, nessuna commissione. Silenzio totale.
Un nome inventato, una carriera cinematografica mai esistita, centinaia di migliaia di euro pubblici finiti nelle mani di un impostore. È la storia surreale, quasi farsesca se non fosse tragica, di Kaufmann, alias Rexal Ford, un uomo che si è spacciato per regista internazionale, ottenendo oltre 800mila euro di finanziamenti dal Ministero della Cultura italiano. Il tutto senza che alcun organo di controllo – né interno né esterno – si accorgesse dell’inganno.
Eppure, mentre il Ministero erogava fondi a pioggia per presunti progetti cinematografici mai realizzati o forse mai nemmeno pensati, nessun magistrato ha aperto un fascicolo, nessuna commissione parlamentare ha avviato accertamenti, nessuna richiesta di chiarimenti è arrivata ai vertici del Ministero. È come se nulla fosse accaduto.
E qui sorge una domanda che, in un Paese serio, dovrebbe campeggiare sulle prime pagine dei quotidiani: com’è possibile che un millantatore, privo di credenziali e operante sotto falso nome, riesca a incassare una cifra simile senza che scatti neppure un campanello d’allarme?
Il caso Kaufmann/Rexal Ford è emblematico di una macchina burocratica inefficiente e opaca, in cui i fondi pubblici – quelli delle tasse degli italiani – vengono distribuiti senza un controllo serio sull’identità dei beneficiari, sulla veridicità dei progetti, sull’effettiva realizzazione delle opere.
E intanto, mentre a molti giovani registi viene chiesto un curriculum certificato, una rete di referenze, persino garanzie economiche, basta un alias americano e qualche cartella stampa inventata per far aprire i cordoni della borsa pubblica.
La questione, però, non è solo etica o amministrativa. Qui c’è il sospetto di reati gravi: truffa ai danni dello Stato, falso ideologico, abuso d’ufficio. Chi ha firmato? Chi ha autorizzato i bonifici? Chi ha validato quei documenti? Chi doveva vigilare e non lo ha fatto?
La cosa più scandalosa non è solo la truffa in sé, ma il fatto che non se ne parli. Nessun comunicato della Procura, nessuna indagine parlamentare, nessun ministro in Aula a riferire. Il solito copione dell’Italia che insabbia, ignora e va avanti.
In qualunque altro Paese europeo, un caso simile avrebbe già portato alle dimissioni di un direttore generale, all’apertura di un’inchiesta ministeriale interna, al sequestro dei fondi erogati. In Italia, invece, si aspetta che cada il silenzio, sperando che gli italiani dimentichino in fretta.
Ma non si può dimenticare che 800mila euro pubblici sono finiti in mano a un personaggio inesistente. E che finché non ci saranno nomi, responsabilità e provvedimenti, questa non sarà solo una truffa, ma una complicità istituzionale.
Conclusione:
Il caso Kaufmann è il simbolo di una macchina pubblica che premia l’inganno e penalizza la trasparenza. Ma finché nessuno pagherà per questo scempio, il vero truffato sarà sempre e solo uno: il cittadino italiano.

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