C’è una foto che fa il giro dei social, un’istantanea che per molti rappresenta non un trionfo europeo, ma una resa nazionale. Prodi, D’Alema, Ciampi, Amato, Napolitano. Compatti, sorridenti, fieri. Non di una firma, ma di una cessione. Perché così viene percepito da una fetta crescente d’italiani l’ingresso nell’euro: non come un passo verso il progresso, ma come una svendita in cambio di illusioni, un tradimento della sovranità.

Quando l’Italia ha detto addio alla lira, non ha solo cambiato moneta. Ha rinunciato a strumenti fondamentali di politica economica: la possibilità di svalutare per sostenere l’export, la libertà di stampare moneta in tempi di crisi, il controllo diretto su tassi d’interesse e bilancio pubblico. Ha accettato invece parametri rigidi, regole imposte da tecnocrazie sovranazionali, e la supremazia di un asse economico nordico che ha premiato Berlino e umiliato Roma.

Chi ha autorizzato tutto questo?


Nessun referendum. Nessuna reale consultazione popolare. Solo decisioni di vertice, avvolte nella retorica del “ce lo chiede l’Europa”, come se fosse un dogma e non una scelta politica. Una politica che ha portato con sé i famosi “trenta denari” di una poltrona a Bruxelles, lasciando in cambio agli italiani pensioni da fame, stipendi da schiavi e un mercato del lavoro devastato.

Con la lira, saremmo messi meglio?


Forse sì, forse no. Ma almeno avremmo avuto la libertà di provarci. Oggi, invece, ci troviamo incatenati a un euro che ha congelato le economie mediterranee, aumentato il divario tra Nord e Sud Europa e alimentato un debito pubblico che paradossalmente viene usato come giustificazione per ogni taglio e sacrificio.
E dire che quando si parlava di Unione Europea, qualcuno sognava un’Europa dei popoli, non un’Europa delle banche.

L’europeismo come religione laica


Chi osava dubitare veniva bollato come “antistorico”, “nazionalista”, “populista”. Ma oggi, nel 2025, i nodi stanno venendo al pettine: salari inchiodati, precarietà diffusa, sanità al collasso, aziende strangolate da vincoli fiscali imposti da Bruxelles. E intanto si scopre che la Francia può spendere, la Germania può fare deficit, mentre noi no. A noi tocca solo obbedire.

Conclusione


La rovina dell’Italia non è iniziata con un bombardamento, ma con un trattato. Non con una rivoluzione, ma con una firma.
E forse, un giorno, servirà davvero un nuovo Risorgimento. Non per uscire dall’Europa, ma per uscire da questa Europa. Quella dei doppiopetti inginocchiati, delle monete senza Stato, delle regole senza popolo.

Di Giuseppe Cianci

E' necessario difendere la libertà di pensiero e di espressione oggi più che mai minacciata dal pensiero unico imposto da un sistema mediatico prevalente