Mentre milioni di italiani faticano ad arrivare a fine mese tra pensioni da fame, stipendi stagnanti e bollette in crescita, lo Stato continua a versare fiumi di denaro pubblico al mondo del cinema e della cultura. E spesso lo fa senza pretendere nulla in cambio, se non un vago riferimento all’“importanza dell’arte” o alla “valorizzazione del patrimonio culturale”. Ma quando il sipario si alza, i numeri raccontano un’altra storia: quella dello spreco dei fondi pubblici.

A sollevare il velo su questo teatrino è stata la stessa presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, che ha citato un caso emblematico: il film diretto da Claudio Amendola – secondo la premier – avrebbe incassato appena 490 euro al botteghino. Avete letto bene: quattrocentonovanta euro. Una cifra ridicola, inferiore al prezzo di una cena di gruppo, eppure questo flop annunciato ha ricevuto un finanziamento pubblico di 1 milione e 250mila euro.

Una proporzione che grida allo scandalo. Ma non è tutto. Meloni ha sottolineato come all’interno di questo “meccanismo culturale”, siano stati elargiti anche cachet milionari a registi e interpreti, come se si trattasse di colossal di Hollywood. E invece, a quanto pare, il pubblico ha voltato le spalle: sale vuote, interesse nullo, e denaro pubblico bruciato come carta straccia.

I produttori del film hanno cercato di giustificarsi, sostenendo che il film non è stato realmente distribuito o pubblicizzato, che si tratta di un’opera d’autore “non commerciale”, che il mercato è difficile. Le solite scuse buone per ogni stagione. Ma la domanda resta: perché finanziare con soldi pubblici un prodotto che non arriva nemmeno al pubblico? E soprattutto: perché nessuno controlla i risultati, dopo aver staccato l’assegno?

Questa non è cultura, è lottizzazione camuffata da arte. È un sistema drogato, dove a vincere non è il merito, ma le conoscenze. Dove i fondi vanno sempre agli stessi nomi, agli stessi giri, agli stessi produttori, anche se i film finiscono nel dimenticatoio ancor prima di uscire.

In un Paese dove si taglia sulla sanità, sull’istruzione e sulle politiche sociali, non possiamo più permetterci di finanziare l’irrilevanza artistica con i soldi dei contribuenti. L’Italia ha bisogno di una vera cultura, non di un paravento che giustifica lo sperpero. E servono regole chiare e trasparenza: chi prende soldi pubblici deve rendere conto dei risultati, altrimenti li restituisca. Come accadrebbe in qualunque altra attività economica.

Altro che “valorizzare il cinema italiano”. Qui si tratta solo di valorizzare certi portafogli, spesso a spese di chi, con onestà, paga le tasse.

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Di Giuseppe Cianci

E' necessario difendere la libertà di pensiero e di espressione oggi più che mai minacciata dal pensiero unico imposto da un sistema mediatico prevalente