Bruxelles / Roma – Il Parlamento europeo ha appena deciso, con un solo voto di scarto (306 contro 305, 17 astenuti), di non revocare l’immunità all’europarlamentare italiana Ilaria Salis, sua intenzione quella di evitare che venga processata in Ungheria.
Fin qui nulla di straordinario in politica: le votazioni segrete, i franchi tiratori, i giochi di maggioranza. Ma oggi l’ombra di un malfunzionamento della pulsantiera di voto getta un’ombra inquietante su quell’esito e rende amaro ogni discorso sul principio di eguaglianza tra cittadini (o, in questo caso, tra deputati).
Il caso del “guasto tecnico”
L’eurodeputato del Ppe Tomáš Zdechovský ha dichiarato che al momento dello scrutinio la strumentazione tecnica utilizzata da Markus Ferber (Cdu/Csu) – un collega del Ppe – non funzionava. Secondo Zdechovský, vi erano con Ferber due tecnici che stavano intervenendo, e lo stesso Ferber avrebbe avvisato la presidenza. Ma la presidente del Parlamento europeo, Roberta Metsola, avrebbe rifiutato di interrompere la votazione e respinto la richiesta di ripeterla.
Secondo il quotidiano Corriere, «Ferber aveva avvisato la presidenza, ma Metsola non ha voluto interrompere la procedura».
Sempre stando alla ricostruzione, Ferber non ha pubblicamente richiesto la ripetizione del voto, il che rende difficile sapere se abbia effettivamente tentato di correre ai ripari.
Al riguardo, va ricordato che, in base al regolamento interno del Parlamento europeo, le votazioni non si ripetono per semplice errore tecnico o guasto (“the vote stands”).
Detto ciò, in un voto così risicato, anche una sola scheda mancante o un clic che non va a buon fine può fare la differenza — e qualcuno sostiene che proprio quel “qualcuno non votato” sia stata la differenza tra immunità e processo.
L’immunità salvata (forse per un pelo) – e il doppio standard
Indipendentemente da quanto vi sia di vero nella versione del guasto tecnico, il fatto che si possa addurre tale argomento a posteriori per mettere in discussione un voto decide dimostra quanto magra sia la linea tra decisione parlamentare e “favore politico”.
Se questa immunità le viene garantita — per motivi tecnici, politici o di maggioranza — mentre il cittadino comune, accusato di reati anche molto meno gravi, viene processato, condannato e rimane senza appello politico, noi cittadini dobbiamo porci (e porre) una domanda: è davvero giusto che la politica abbia strumenti per sfuggire alla giustizia?
In Italia (e in molti sistemi democrati), le persone comuni che finiscono sotto indagine – a volte innocenti o con prove deboli – non possono appellarsi a “pulsanti che non funzionano” o a voci di “guasti tecnici” per evitare il processo. Pagano, spesso, anche quando non hanno alcuna colpa reale, o quando l’errore giudiziario è evidente. Ci sono cittadini che restano mesi (o anni) in attesa del giudizio, che subiscono costi legali, reputazionali, stress psicologico, mentre chi sta al potere può giocarsi – se gli va bene – una “vacanza parlamentare”.
In questo caso, la Salis “scampa” l’immunità per un solo voto: un colpo di scena degno di fiction. Ma al di là del dramma personale, quel risultato “di misura sottilissima” dà l’impressione che la legge nel Parlamento europeo – per un eurodeputato — possa essere più elastica, più arrangiata, meno vincolata al rigore che si richiede ai cittadini ordinari.
Difficile stabilire la verità — ma la rabbia resta
Non abbiamo elementi certi per affermare che il guasto sia stato decisivo, né che sia stata una manovra consapevole o un’occasione sfruttata. Il voto è segreto, quindi non sapremo mai chi ha votato cosa, né chi avrebbe potuto correggere o anticipare eventuali errori tecnici.
Tuttavia il sospetto si insinua: in una votazione che era presumibile potesse andare nell’altro senso, nel finale qualcosa si è mosso — e quel “qualcosa” potrebbe essere un guasto, un cambiamento dell’ultimo momento, una mano invisibile.
E mentre noi cittadini dobbiamo subire le ingiustizie del sistema giudiziario (quando ci tocca), chi sta in alto ha la protezione del regolamento, dell’immunità e forse perfino del “caso tecnico”.
Che vergogna.